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Parlare di
Giuseppe e Pietro Cristino, oggi, nell’epoca del crollo
delle ideologie, dopo l’implosione dei regimi totalitari
dell’Est europeo, ma anche di guerre sanguinose – basti
pensare a quella del Golfo Persico e all’altra tra le
nazioni dell’ex Iugoslavia – che sicuramente hanno trovato
una concausa nel crollo del Muro di Berlino del 1989, che
ha segnato la fine della guerra fredda e dei blocchi
contrapposti, guidati dalla fine della seconda guerra
mondiale rispettivamente da USA ed URSS, potrebbe anche
significare andare ad indagare fatti, persone e vicende
del Novecento, la cui storia, oltre che non sempre
ripercorsa e chiarita adeguatamente e a sufficienza, ci
appare distante anni luce. E proprio tale distanza
consente che tanti personaggi di primo piano, che hanno
fatto la storia civile e sociale del nostro paese, possano
essere spesso posti in discussione per le scelte politiche
fatte e per il loro operato nel secondo dopoguerra, in
quanto hanno contribuito, seppure indirettamente, a quel
sistema politico nazionale bloccato, rimasto senza
alternativa. Si è parlato e si parla anche di democrazia
incompiuta. La realtà è che per più di quaranta anni ci
hanno governato più o meno le stesse persone, realizzando
– caso unico tra i paesi occidentali – una sorta di
“dittatura” in democrazia, che ha determinato conseguenze
assai gravi: invecchiamento e inefficienza delle
Istituzioni pubbliche; alcuni fenomeni gravi di collusione
tra politica e criminalità organizzata; intere regioni
alla mercé di mafia, ‘ndrangheta o camorra che
insanguinano il Sud sostituendosi allo Stato come se
questo avesse rinunciato alle proprie funzioni; malcostume
diffuso della pratica del pizzo e della bustarella per
cui, sempre più spesso, la cronaca nera è ricca di casi di
burocrati e amministratori locali divenuti essi stessi, in
prima persona, i gestori del malaffare. È il “diritto
negato” ad alimentare spesso faide tra i malavitosi e
comportamenti omertosi anche tra i cittadini. I partiti
politici si sono trasformati in qualcosa di diverso da ciò
che erano originariamente: da strumenti di democrazia sono
diventati organizzazioni di potere. Tuttavia pare che ora
qualcosa cominci a cambiare e fasce non trascurabili della
popolazione non sono più disposte a concedere la propria
delega in bianco ai politici, portati sempre più ad
anteporre gli interessi particolari, di pochi
privilegiati, all’interesse generale della collettività.
I problemi
sono tanti. Da locali o nazionali che erano, sono divenuti
di portata planetaria. Non sarà di certo la logica delle
lobby, delle multinazionali e della propensione al
consumismo a prospettare le soluzioni più eque o più
giuste per la nostra società.
Giuseppe
Cristino, nato a Montecalvo Irpino il 17 maggio 1918, con
la Grande guerra ancora in atto e il fascismo che avrebbe
preso il potere di lì a quattro anni, non sarebbe stato in
grado di immaginare i mutamenti e le involuzioni della
nostra società. A dire il vero nemmeno noi siamo in grado
di prevedere, dove ci porteranno le “esternazioni e
picconate” che da qualche tempo caratterizzano il sistema
di potere in Italia.
Dell’Irpinia,
assai arretrata e depressa d’inizio secolo, poco o nulla
permane nella memoria collettiva. Guido Dorso, nel 1915,
ne faceva un quadro tutt’altro che esaltante. Le lotte
politiche provinciali, caratterizzate da intimidazioni e
sopraffazioni, trovavano fertile terreno nelle condizioni
di servilismo diffuso. L’Irpinia era già allora regno
dell’affarismo e del trasformismo, e l’arte della
mediazione e della demagogia serviva soprattutto
all’interesse generale della borghesia. A ben vedere,
però, nel secondo dopoguerra il quadro generale
provinciale non è parso cambiato di molto rispetto al
periodo tra le due guerre.
Il potere
locale era gestito con strumenti conservatori e
antiprogressisti. I nobili erano ormai stati soppiantati
dai professionisti – medici, avvocati, ingegneri ecc. – e
dai burocrati che andavano costituendo un nuovo ceto
d’arrampicatori sociali fortemente politicizzato.
Il censimento
del 1921 rilevava l’arretratezza economica irpina: il
79,20% della popolazione attiva era impegnata
nell’agricoltura; solo il 14% lavorava nell’industria e
nei trasporti; appena dieci erano le imprese con più di
cinquanta addetti.
La
polverizzazione delle imprese caratterizzava tutti i
settori economici provinciali. I lavoratori prestavano la
propria opera in condizioni di sfruttamento, con strumenti
antiquati, salari bassissimi e nella pressoché generale
inosservanza delle norme previdenziali e
antinfortunistiche.
Il censimento
del 1931 vedeva scendere l’occupazione nel settore
agricolo al 71%, ma permaneva l’estrema arretratezza delle
tecniche produttive in agricoltura. Oltre alla crescita
degli addetti nei settori dell’industria e del commercio,
si registrava il raddoppiamento della popolazione
scolastica (24.301 alunni), rispetto al 1921, anche se non
poteva essere cancellato l’analfabetismo.
L’emigrazione
di massa, con destinazione transoceanica, s’interrompeva
durante il ventennio fascista, ma sarebbe ripresa in modo
massiccio negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta,
privilegiando i paesi europei.
Questo, in
breve sintesi, lo scenario in cui Pietro Cristino (1882 –
1962), farmacista montecalvese e padre di Giuseppe, prima
socialriformista e poi socialista dal 1924, dopo l’avvento
del fascismo nel 1922, fece le sue scelte politiche ed
operò in opposizione al regime. Sottoposto a restrizioni
severe delle libertà personali, a seguito della
“ammonizione” della Questura, motivata dalla sua accertata
attività sovversiva, egli sopportò con dignità ogni
vessazione, compreso un breve arresto cautelare, in
occasione delle nozze di S.A.R. il Principe Ereditario,
celebrate il 12 gennaio 1930. Intransigente oppositore del
regime, divenne soprattutto un punto di riferimento morale
per gli antifascisti montecalvesi e quelli dei comuni
vicini, perché col tempo ogni forma d’azione politica gli
era impedita con ispezioni e controlli rigorosi di
polizia. Sarebbe stato il primo sindaco democraticamente
eletto nel 1946, in un comune, Montecalvo Irpino, dove mai
si era sopito lo spirito democratico e antifascista. Gli
ultimi anni della sua vita li avrebbe trascorsi seduto e
silenzioso su una sedia, a causa di una paralisi che
l’aveva colpito.
Il figlio
Giuseppe assistette alle vicende paterne maturando una
spontanea e autonoma formazione politica, caratterizzata
da una precoce opposizione alla dittatura fascista, non
rivelata ad alcuno.
A Napoli, dove
per motivi di studio s’era trasferito con la madre e i
fratelli, nel 1938 decise di espatriare per partecipare
alla guerra civile spagnola. A Parigi, dov’era giunto con
pochi risparmi, grazie ad un finto viaggio turistico,
entrò in contatto con altri antifascisti e si arruolò
nelle Brigate Internazionali.
Entrato
clandestinamente in Spagna, combatté nella Brigata
Garibaldi in difesa della Repubblica spagnola. Fatto
prigioniero dai franchisti, fu internato in un campo di
concentramento dove morì, presso Burgos, il 20 agosto
1941, stroncato da un’epidemia di tifo. Comunque, se fosse
sopravvissuto, l’avrebbero consegnato allo Stato italiano,
il che sarebbe equivalso probabilmente alla sua condanna a
morte, giacché nel 1939 erano avvenute fucilazioni, per
ordine dello stesso Mussolini, di antifascisti italiani
catturati in Spagna.
Ad onor di
cronaca va riferito che da Montecalvo era partito per la
Spagna anche qualche volontario, arruolato dal regime, per
combattere a fianco delle falangi franchiste.
Relativamente ad uno di questi volontari, si raccontava
che sua moglie, con le rimesse ricevute dal marito
combattente in Spagna, si era comprato un appezzamento di
terra intestandolo al proprio nome (Lu marìtu ha
gghhjut’a pparà li ppaddròttil’a la Spagna e la mugliére,
cu la pava ca iddru l’ave mmannàtu, s’av’accattàtu la
terr’a ppiéttu suju!).
Era di
conforto per Pietro Cristino, sopravvissuto al figlio per
ventuno anni, il sapere che Giuseppe si era sacrificato
per il suo ideale di libertà.
Padre e
figlio, dunque, erano accomunati nei loro ideali di
democrazia e la loro storia andrebbe fatta conoscere ai
giovani. Però, quasi fossero dei personaggi scomodi o
ingombranti, Montecalvo ha scelto il silenzio. Ma un paese
che si scorda dei figli migliori, a prescindere dal colore
politico d’appartenenza, è un paese senza storia, che non
possiede alcunché da insegnare ai giovani e tramandare ai
posteri.
(Testo
inedito, scritto a Zell (TN), il 10 dic. 1991, per
ricordare il cinquantenario della morte di Giuseppe
Cristino).
Angelo
Siciliano |