PIETRO PAOLO
PARZANESE
Nel bicentenario
della nascita, dedicata un’importante mostra documentaria
al poeta e prelato
irpino dell’Ottocento, nato ad Ariano Irpino,
ma di bisnonno montecalvese e madre di Grottaminarda
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![]() Da ragazzo, negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, quando studiavo ad Ariano Irpino, ricordo che nessun docente ci parlava di Pietro Paolo Parzanese (Ariano di Puglia, come si chiamava allora, 1809 – Napoli, 1852). Ma su di lui, terzo di undici figli tra fratelli e sorelle, tra i contadini montecalvesi, che pure ne avevano scordato le ascendenze paterne, a oltre un secolo dalla sua morte circolava ancora una filastrocca: “Pietru Paulu Parzanese prèviti, puèta, pittore pittava / palazzi, purcìni, purtèddre, / pavàtu pi pócu prèzzu” (Pietro Paolo Parzanese / prete, poeta, pittore pittava / palazzi, porcili, portelle, / pagato per poco prezzo). È tutto quel riuscivano a raccontare: una facezia scherzosa, “strufètta” in dialetto, o scioglilingua. E ve n’erano tante altre nella cultura orale della civiltà contadina. Questa sul Parzanese è giocata sulle iniziali delle parole, tutte con la lettera ‘pi’, ed è presente, con qualche variante, anche tra i contadini arianesi. A questo poeta, certamente il più noto e importante dell’Irpinia dell’Ottocento, che ebbe radici in tre paesi – Ariano gli diede i natali, Montecalvo Irpino è il paese del bisnonno paterno Giovanni, assunto come servitore ad Ariano in casa della famiglia di Tommaso Vitale nel 1753 (ricerca d’archivio, divulgata nel 2013, di G. B. M. Cavalletti), e Grottaminarda, quello della madre –, nel bicentenario della nascita è stata dedicata una mostra documentaria, ampia e importante, nelle sale espositive del Seminario Vescovile arianese, dal 9 agosto al 15 novembre 2009. A promuoverla sono stati la Diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia, guidata da S. E. Mons. Giovanni D’Alise, attraverso l’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali ed Ecclesiastici, di cui è direttore don Massimiliano Palinuro, e il locale Museo Civico unitamente all’Associazione “Amici del Museo” e all’Associazione Circoli Culturali “P. Ciccone”.In occasione della mostra, le Poste Italiane hanno effettuato l’annullo postale con una serie di cartoline con l’effigie del poeta. La mostra fa piena luce sul vissuto di Parzanese, sui suoi soggiorni a Napoli per seri motivi di salute e vicende politiche personali, sulla sua attività di canonico, teologo e predicatore itinerante, di viaggiatore informato per i paesi dell’Irpinia e della Puglia come scopritore e divulgatore di luoghi, di prosatore, memorialista, studioso, critico d’arte e letterario, nonché traduttore di opere dal tedesco, inglese e francese. Ma è soprattutto sul poeta che fa il punto. Si può dire, almeno per ora, data l’improbabilità che si scopra in futuro altro materiale inedito veramente importante che lo riguardi, che questa è una mostra sostanzialmente completa ed esauriente, che sgombera il campo dai luoghi comuni che si sono addensati e tramandati nel tempo sulla sua figura di prete, poeta e intellettuale, che visse pienamente il suo tempo nella prima metà di quel secolo cruciale e travagliato che fu l’Ottocento.
Un’esposizione di documenti e manoscritti cartacei originali e inediti, giornali e riviste dell’epoca, libri e ritratti del poeta di autori differenti, che diventerà itinerante e sarà visitabile in altri comuni irpini. Ottaviano D’Antuono, coadiuvato da una ventina di collaboratori, l’ha allestita con vera abnegazione, ma l’idea originaria risale all’anno della fondazione del Museo Civico di Ariano, il 1991, quando, oltre a collezionare gli splendidi oggetti della ceramica arianese dei secoli passati, lui era anche a caccia di libri e documenti di storia, arte, letteratura e cultura riguardanti soprattutto le personalità arianesi. Una parte consistente dei libri e documenti esposti, infatti, sono suoi doni personali consegnati negli anni al museo. Insomma, la sua certosina opera di bibliofilo, perseguita con passione, ha arricchito il museo di una preziosa raccolta di testi e documenti. E questa mostra non è che la prima, perché altre se ne preannunciano per il futuro su alcuni studiosi arianesi, che hanno operato in ambito storico, giuridico e filosofico. Va ricordato che Ottaviano D’Antuono, oltre ad aver creato il Museo Civico, di cui è responsabile, ha fondato ad Ariano pure il Museo Giuseppina Arcucci. Giuseppe Parzanese, padre del poeta e di professione negoziante di tessuti, nacque nel 1784. Lo si desume dall’atto di nascita del figlio. Ma il Settecento è anche il secolo di S. Pompilio Maria Pirrotti (Montecalvo, 1710 – Campi Salentina, 1766), e l’abate don Teodoro Rapuano, il 29 settembre 2009, ha aperto a Montecalvo il Giubileo Pompiliano, per il terzo centenario della nascita, con una solenne concelebrazione eucaristica, presieduta dall’Arcivescovo Emerito di Benevento, S. E. Mons. Serafino Sprovieri. La madre del poeta, Giovanna Faretra, era nata a Grottaminarda nel 1776 e il figlio gravitò spesso nel paese materno. Pietro Paolo Parzanese fu poeta lirico appassionato e scomodo per i potenti. Ma è singolare che non amasse Ariano. E, per contrappasso, non fu amato dagli Arianesi, fatta eccezione dei vescovi Russo e Capezzuto. Lo comprova il fatto che non ha lasciato scritti dedicati alla propria città natale. Dei suoi anni di studio, trascorsi in seminario dai 10 ai 14 anni, annota nelle sue Memorie che i suoi maestri preti e frati, erano ignoranti, maneschi e “di lingua sporca e di pochi santi costumi”.
A
vent’anni, nonostante gli studi in seminario, o forse proprio per
come aveva vissuto quegli anni, s’innamorò di una ragazza, Rosaria
Vernacchia, che morì giovane lasciandolo in un grave stato di
desolazione. E, probabilmente, oltre alla vocazione, fu la sua
condizione psicologica a orientarlo verso la scelta della vita
sacerdotale. Ma, in seguito, nonostante la tonaca, pare che abbia
vissuto qualche altro amore, come quello con Rosa Taddei, poetessa
maritata. Per questo non è assente nei suoi versi il tema
dell’amore. Dopo l’ordinazione sacerdotale, divenne insegnante di
grammatica nel seminario arianese e in seguito ottenne la cattedra
di teologia e resse, fino al 1837, la locale diocesi come vicario
capitolare. Lasciato questo incarico si dedicò completamente alle
sue due principali passioni: la poesia e la predicazione. Già
all’età di dieci anni inventava e recitava versi e a sedici, nel
teatro comunale di Benevento, improvvisò la recita di una tragedia:
Sedecia.
Per via delle liriche de Le armonie italiane, definite “alate e pregevoli”, si è tentato in passato un qualche accostamento, quanto mai impari, tra il Parzanese e Giacomo Leopardi (Recanati, 1798 – Napoli, 1837). Leopardi era pallido, malaticcio, pessimista per eccellenza e depresso. Da certi intellettuali romantici è rappresentato come tisico, nevrotico, incline al dolore, lacrimoso, incipriato e finanche menagramo. Autodidatta, ma di cultura raffinata e vastissima, dopo le prime prove poetiche d’impostazione patriottica e civile, egli realizza una rivoluzione metrico-stilistica che lo affranca dalle ascendenze petrarchesche per dare sfogo ai sentimenti. Col tempo, però, ogni illusione svanisce e per lui l’uomo resta afflitto da un profondo tedio esistenziale, assillato dalla consapevolezza che tutto è inutile, compresi gli slanci affettivi, i soli capaci di dare senso all’integrazione dell’individuo con i suoi simili. Anche il Parzanese, che fu di vasta cultura, ebbe infanzia malaticcia, attanagliato da insicurezze e fughe dalla realtà, ma la sua poetica è distante da quella del Leopardi. La grande sensibilità d’animo lo portò a una scelta fondamentale: scrivere per la gente umile – la plebe angustiata dai travagli dell’esistenza – nella nobile ambizione di alleviarne i patimenti fisici e morali. Semplificò lo stile nella consapevolezza di rendere il contenuto e il significato dei propri testi accessibili anche agli ignoranti, che erano i poveri, gli artigiani, i pescatori e i contadini. E, infatti, certe sue poesie come La cieca, La cieca nata, La pazza, La morta e La croce assurgono a funzione educatrice del popolo. Una sorta di espediente didattico, per alimentare la fede nella Provvidenza divina e la certezza nell’Eternità per il lenimento dei mali terreni. E, nel contempo, mette tutti in guardia dai pericoli delle dottrine sovversive. Il Parzanese è dunque il cantore degli umili e dei semplici e I Canti del Viggianese sono l’opera matura che meglio riassume tale peculiarità. Comprende poesie, tra le più belle che abbia scritto, ispirate al modo di cantare dei Viggianesi, nativi di Viggiano, borgo della Basilicata, che da bambini migravano per il mondo, in paesi come Francia, Spagna, Turchia e Russia. Cantavano accompagnandosi con uno strumento – verosimilmente l’arpa – raccogliendo piccole offerte di denaro e poi facevano ritorno a casa, portando con sé, oltre al gruzzolo raggranellato, un corredo dinuovi canti raccolti strada facendo.
Fu poeta
popolare, ma non si occupò né scrisse in dialetto, la lingua vera del
popolo. Anche se vi erano due poeti importanti, suoi contemporanei, che
adoperavano il vernacolo con sensibilità e umanità: il milanese Carlo
Porta (1775-1821) e il romano Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863). Per
non parlare del letterato napoletano, Giambattista Basile (Napoli, 1575
– Giugliano, Na, 1632), insignito del titolo di governatore di
Montemarano, il quale, probabilmente, raccolse molto materiale nei paesi
dell’Alta Irpinia, dove aveva soggiornato a lungo, per il suo capolavoro
barocco in dialetto napoletano, Lo cunto de li cunti, un
concentrato del patrimonio favolistico dell’Irpinia, in cui s’è meglio
conservata memoria dell’immaginario collettivo della Campania. E anche
Filippo Cirelli, che scorrazzava come ricercatore per i territori del
Regno delle Due Sicilie, per conto del re Ferdinando II, e che nel 1852
avrebbe scritto il necrologio per il Parzanese, si occupava sì di storia
e geografia, attività economiche, usi e costumi dei sudditi dei Borboni,
ma non trascurava di dar conto di canti, detti e filastrocche in
dialetto dei vari paesi. Negli ultimi anni della sua vita, il Parzanese
maturò una coscienza politica per un’Italia unita, che cancellasse le
gravi disuguaglianze tra gli sfarzi dell’aristocrazia borbonica e il
popolo costretto in miseria. Nel 1848, anno di rivoluzioni ed
avvenimenti storici tumultuosi, scrisse l’ode Italia e
Napoli,
e non solo nei primi due versi, “Dio lo volle! L’Italia s’è desta / e
dal fango solleva la testa”, aleggia in certa misura lo stesso spirito
dell’inno nazionale italiano, Fratelli d’Italia, composto in
quegli anni da Goffredo Mameli (Genova, 1827 – Roma, 1849). Ormai il
Parzanese era un patriota liberale, che non risparmiava strali neppure
al Papa, come nei versi “Chi ha un trono nel suo tempio / te suo Signor
rinnega”, e tutto ciò lo fece inserire nell’elenco degli ‘attendibili’,
vale a dire gli imputati politici da processare. Morì in un alberghetto
di Napoli, il 29 agosto 1852, a causa di un’infezione di tifo. La
polizia borbonica tentò di impedirne i funerali, ma, trasportato ad
Ariano, grazie alla fiera opposizione di Mons. Capezzuti, che alla
polizia rispondeva che in chiesa comandava lui, per volontà del Capitolo
della Cattedrale e della cittadinanza si tennero in Duomo le degne
onoranze funebri. Nel tempo, si sono occupati dell’opera del Parzanese,
tra gli altri, N. Flammia, C. Villani, C. De Vivo, F. Lo Parco, M.
Cianciulli, F. De Sanctis, L. Baldacci, F. Flora, G. Mazzoni, F.
Molinario, A. Bellipanni, V. Schioppa, F. Portinari, A. e N. D’Antuono,
I. Bonito Morrison, M. Tondo, V. Spinazzola, A. Pasquale, G. D. Bonino,
A. Zazo, D. Santoro, L. Parente, L. Albanese, G. D’Errico, F. di Piscopo,
A. Sassoli, M. Nicoletti, G. Malcangi, S. Scapati e G. Zocchi.
Anche se è un poeta minore dell’Ottocento italiano, come si è rilevato da parte di certa critica, non lo è certamente tra i poeti religiosi. E nel secolo successivo vi sarebbero stati altri preti-poeti: Clemente Rebora e David Maria Turoldo. Gran predicatore quest’ultimo, nonché fustigatore dei costumi della borghesia meneghina dal pulpito del duomo di Milano. Altri tempi, altri fermenti, altre estetiche e poetiche. L’edizione delle “Opere complete” del Parzanese, realizzata ad Ariano in più volumi tra il 1889 e il 1898, in cui manca però qualche inedito, è ormai troppo lontana nel tempo per essere facilmente consultabile e dovrebbe essere ripensata e rimessa in cantiere, perché tutti possano fruirne. Al Parzanese sono dedicati un monumento, tra l’altro con riferimenti anagrafici errati, nel Recinto degli Uomini Illustri nel Cimitero Monumentale di Napoli, un busto bronzeo dello scultore Enrico Mossuti, eretto in Piazza Plebiscito nel 1910 e trasferito nei giardini della Villa comunale arianese nel 1928, e una scuola, il Liceo Classico/Scientifico Pietro Paolo Parzanese di Ariano Irpino. Scheda del catalogo Il catalogo, di 48 pagine, illustrato con immagini a colori e in bianco e nero, ricco di apparati bio-bibliografici e riferimenti critici, contiene i testi di S. E. Mons. Giovanni D’Alise, Antonio Mainiero sindaco di Ariano, don Massimiliano Palinuro, Ottaviano D’Antuono ed è stampato nel 2009 per conto di Edizioni della Diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia. (Questo articolo è uscito sul Corriere – Quotidiano dell’Irpinia, il 2 novembre 2009, ed è nel sito www.angelosiciliano.com). Zell, 26 ottobre 2009 Angelo Siciliano
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