La diversità nei comportamenti sessuali era vissuta senza eccessivi drammi, ma non era così per l’incesto. Se per gli animali selvatici il sesso è una pratica finalizzata essenzialmente alla procreazione, circoscritta ai periodi di fertilità della femmina, così non è per gli umani. Tra l’altro costoro, ricorrendo all’inseminazione artificiale o all’impianto nell’utero di embrioni ottenuti in laboratorio, possono procreare senza fare sesso. E la stessa cosa succede ormai anche per gli animali domestici di grossa taglia, fatti oggetto d’allevamento industriale, selezionato e intensivo. Il sesso occupa una parte importante nella vita delle persone. Attiene alla loro sfera personale, sentimentale, intima e affettiva. È il piacere che si consuma in privato tra le lenzuola, e non solo. Sganciato com’è da fini procreativi, può diventare gioco, avventura, merce, vizio, passatempo di gruppo, scambio di coppia, voyeurismo, pornografia, assurta ormai questa a business planetario. Nel mondo contadino patriarcale, dove parlare di sesso e spettegolare su avventure o disavventure amorose altrui, era una prassi abituale quando si lavorava in gruppo, non esistevano scambi di coppie. Tuttavia le “corna”, senza le complicazioni e i sensi di colpa che possono comportare nella società borghese, erano l’esito di tradimenti talvolta solo sospettati più che consumati realmente. In quella realtà un matrimonio durava o sarebbe dovuto durare per sempre. Alla donna era richiesta l’onestà, dove “onestà” stava per fedeltà al marito. Nel caso delle vedove che, dopo la morte del consorte, vestivano di nero vivendo a lutto per il resto della propria vita, questo termine assumeva il significato di fedeltà ostinata alla memoria della “buonanima” del marito defunto. Ed era un valore morale, indice di un principio non sancito per iscritto, ma consolidato nella tradizione, rispettato e tenuto in gran conto nella società contadina. Tuttavia erano presenti in quel mondo anche l’omosessualità e l’incesto. Se ne parlava, si commentavano fatti successi o verosimili, ma non rientravano nelle “canzóni cacciàte”, vale a dire i canti pettegoli che le contadine inventavano, su melodie semplici e ripetitive, e cantavano durante i lavori nei campi. L’omosessualità e l’incesto erano evidentemente argomenti tabù. I canti pettegoli, tramandati per anni, assolvevano una vera e propria funzione di divulgazione dei fatti locali. Erano attinenti alla sfera della vita privata delle persone, raccontando di corna e tradimenti, o pettegolezzi su vicende politico-amministrative del paese.
L’omosessualità nel mondo arcaico contadino. L’omosessualità è tuttora, nella nostra società evoluta e disinibita, un argomento imbarazzante, scomodo, scabroso anche a parlarne. A scriverne poi non è facile. Indagarne gli aspetti e capire i comportamenti non è semplice.L’omosessualità si manifesta attraverso la tendenza che ha una persona ad appagare il proprio bisogno sessuale con persona dello stesso sesso. Tale persona è detta omosessuale, gay, frocio, finocchio, pederasta, se trattasi di un maschio, lesbica se trattasi di una donna. La lesbica più nota rimane la poetessa greca Saffo. Tuttavia, può permanere e convivere nel soggetto omosessuale anche la tendenza eterosessuale, vale a dire la capacità di fare sesso con persona di sesso opposto.Freud sosteneva che l’omosessualità affonda le sue radici in quella fase dell’infanzia, in cui si verifica un arresto di sviluppo nello stadio intermedio tra il narcisismo e l’amore oggettuale. Nella sessualità infantile, infatti, esiste una fase d’attaccamento omosessuale ad un oggetto, che si supera nella pubertà, con il superamento del complesso d’Edipo.L’omosessualità può essere primaria o secondaria. Quella primaria è dovuta ad alterazioni di fattori biologici, come ad esempio gli ormoni. Quella secondaria è collegata a fattori ambientali, come le frustrazioni per l’impossibilità ad avere rapporti con l’altro sesso, come ad esempio se si è costretti a vivere in comunità chiuse d’individui dello stesso sesso: carceri, convitti, collegi. Anche tra gli animali esiste l’omosessualità ed è un fatto naturale, istintivo. L’omosessualità, come comportamento ritualizzato, può servire a ristabilire o ribadire un ordine gerarchico, che si è incrinato tra i membri del branco, a rinsaldare rapporti affettivi, o a scaricare lo stress. Lo fanno le scimmie, i cani, i canarini in cattività. Ma essi hanno un vantaggio rispetto all’uomo: sono amorali, in altre parole non hanno delle regole che li possano guidare, inibire, o esporli al giudizio dei propri simili. Tuttavia, due animali della stessa specie e sesso che si accoppiano tra loro, o fingono d’accoppiarsi, possono apparire agli occhi degli umani come dei depravati. La sodomìa, che in genere sta per omosessualità maschile, indica ogni forma di rapporto sessuale contro natura, con chiaro riferimento anale. Come etimo deriva dall’antica città biblica di Sòdoma che con l’altra città Gomorra furono distrutte dall’ira di Dio, per i vizi sessuali dei loro abitanti. Si salvarono solo Lot e la sua famiglia, grazie all’intervento di alcuni angeli. Nell’antichità l’omosessualità era normalmente accettata. Pare che avessero rapporti omosessuali con il compagno prediletto, sia il condottiero macedone Alessandro Magno che l’imperatore romano Adriano. Ma ad Atene, patria della democrazia, il sommo filosofo Socrate, che aveva moglie e famiglia, subì un processo e la condanna a morte perché corruttore dei giovani ateniesi. Nella Firenze rinascimentale l’omosessualità era perseguita severamente. Il gay sorpreso con un altro uomo poteva subire la condanna alla castrazione e, in caso di recidiva, finiva al rogo. Ma per il gay ricco era differente. Poteva ottenere la commutazione di queste pene in un’ammenda pecuniaria. Insomma, anche in quell’epoca, guai al gay povero! Nel Novecento gli omosessuali erano perseguitati dal fascismo, mentre il nazismo li faceva sparire nei forni crematori. Negli USA, dopo la seconda guerra mondiale, pare che 50.000 omosessuali abbiano subito per legge la castrazione. L’omosessualità e l’incesto erano presenti nella società contadina, come d’altronde in tutte le altre classi sociali. Essere omosessuale, ricchjóne, nella società contadina era una iattura. Si era segnati per sempre. Si diventava la favola della comunità, il bersaglio di battutacce e racconti piccanti. Insomma, quasi una sorta di gogna o dannazione personale, tra pregiudizi, maldicenza ed emarginazione. In buona sostanza una vera e propria omofobia, contro cui ha preso posizione anche l’Ue, Unione europea. Nel mondo patriarcale il maschio doveva essere, o quantomeno apparire, “uomo”, in pratica maschio capace di manifestare la propria virilità nell’assunzione di decisioni. A lui era vietato piangere come le donne, durante la veglia funebre e la gestione del lutto per un parente deceduto. Anche se tra le mura domestiche la donna si faceva di solito valere, all’esterno era l’uomo che, da patriarca, portava calzoni e cappello e si faceva carico delle decisioni, e doveva esigere rispetto. Qualche ermafrodita contadino, con faccia glabra, regolarmente coniugato, si comportava da maschio. Ma circolavano voci sulla sua impotenza, e di qualche figlio che la moglie s’er’abbushcàtu, aveva messo al mondo, si vociferava su nome e soprannome di colui che in realtà ne era il padre. Nu massàru si la faceva cu lu uarzóne e la mugliére di quistu, ca lu tinéva gilùsu, minàva malisintènziji quannu lu marìtu, a la quinnicìna, nun s’arritiràv’a la casa. La sòcra l’assavizzàva: «Tu aja èss gilósa si quiddru si ni va cu l’ati ffémmini, ma di lu padrone no, ca jà n’ómu, e ppicché vi dà ppani!»; Il massaro se l’intendeva col suo garzone e la moglie di costui, che era tanto gelosa, lanciava maledizioni quando il marito, a ogni scadenza dei quindici giorni di lavoro, non tornava a casa. La suocera la rintuzzava: «Tu dovresti essere gelosa se lui se n’andasse con altre donne, ma del padrone no, che è un uomo, e perché vi dà pane!». Un migrante gay paesano, zitu, celibe, oggi si dice single, di ritorno dall’America, dove si era disinibito in fatto di sesso, decise di non ripartire più. Si comprò un appezzamento di terra, che coltivava regolarmente, e avviò una tresca col contadino proprietario del campo confinante. Poiché lui era un “prendente” ma anche un “dante”, al momento opportuno, si scopava la moglie dell’amico. Insomma era un “menage à trois” che si era instaurato in ambito rurale, anche se il rapporto pendeva spesso verso i due della componente maschile. Questi particolari divenivano di dominio pubblico quando si andava nelle cantine e gli uomini si facévun’a bbinu, si ubriacavano. Una sera “l’americano”, in presenza d’altri amici, nei fumi dell’alcol ebbe da ridire all’amante: «Sera nun ci minìsti da me, uaglio’. Ij’era prónt, cóm’a la mègliu fémmina pi tte!»; «Ieri sera non sei venuto da me, guaglio’. Mi ero preparato, come la migliore femmina per te!». Una sessantina d’anni fa, una famiglia di bottegai ospitò un maturo signore, amico del proprio figlio, studente alle scuole superiori. Un amico del figlio, scoprì o sospettò che i due se la “intendevano” e rivelò la cosa nella cerchia degli amici comuni. Giunto che fu il pettegolezzo alle orecchie dei familiari del giovane, svelato a quel punto come omosessuale, successe un pandemonio con minacce di querela per diffamazione. La vicenda, dopo le scuse da parte del divulgatore del sospetto, si chiuse lì, anche per il fatto che un processo, per riabilitare l’eterosessualità offesa del giovanotto, avrebbe comportato altro fango e dicerie per quella famiglia. Un uomo rivelava che da bambino era stato fatto oggetto d’attenzioni da parte di un prete, che oggi si additerebbe come pedofilo. Raccontava pure di nu prèviti spugliàtu, un seminarista rinunciatario, diventato poi maestro, che aveva lasciato il seminario, perché la sua crisi di vocazione era dovuta principalmente al fatto d’aver subito le attenzioni particolari da parte di un suo docente prete. Due amici che se la intendevano, jévunu sèmp’anzièmu fóre terra cu li ciucci, a bbénne frutti e rròbba d’uórtu; si recavano sempre insieme nei paesi vicini con gli asini, a vendere frutta e ortaggi. Quei viaggi servivano anche per vivere il loro sentimento in libertà, lontano da occhi indiscreti.Una volta un ciucaio confidava che un suo collega, con moglie e figli, di punto in bianco gli chiese una prestazione sessuale, e lui lo ricambiò con una sonora risata in faccia. Riferiva pure che forse corrispondeva al vero il fatto che i quattro figli, di cui colui si vantava, la moglie li avesse avuti con degli amanti e che due di questi una volta, al colmo di una disputa, fossero quasi giunti sul punto da sfidarsi con le pistole.Negli anni Settanta del Novecento, un servizio su un rotocalco nazionale riportava un fatto di cronaca relativo a un compaesano che, in servizio di leva in una città del Nord, quando era in libera uscita si accompagnava a dei gay, e lo faceva per soldi. In questo caso, era lampante che si trattava di prostituzione maschile.Un omosessuale del paese che viveva facendo il parrucchiere, fu molestato e offeso da dei forestieri entrati nel suo salone. Quando quei cerca guai andarono via, il molestato corse a casa a lamentarsi dell’accaduto con la famiglia. Il padre, che era un ciucaio, e un altro figlio andarono alla ricerca dei molestatori, con intenzioni punitive. Li intercettarono in un bar, dove forse stavano brindando alla loro bravata. Gli assestarono tante di quelle legnate, da fargli scordare la via dalla quale si veniva in paese. Questo è un caso raro di un omosessuale accettato dalla famiglia e non cacciato via di casa.Nella realtà paesana un gay rischiava di diventare uno zimbello del paese, poiché era il diverso per eccellenza. Era il bersaglio preferito da prendere in giro, l’oggetto di pettegolezzi e maldicenze dei giovani maschi e anche degli adulti. Le donne, invece, erano più discrete e alcune di loro non disdegnavano la sua compagnia. L’omosessuale era l’anello debole della catena sociale, al pari di un lupo con il grado più basso dentro il suo branco, che rappresenta l’elemento su cui gli altri componenti scaricano tutte le loro frustrazioni. L’omosessuale appariva di carattere docile, abbordabile, femmineo, apparentemente fragile – forse per questo a Napoli li chiamano femminielli –, con una voce suadente, tendente all’aggraziato, come i suoi gesti senza la ruvidezza e il fare brusco e materiale, tipico dei maschi. Una condizione personale, quella del gay, tenuta spesso nascosta. A volte rivelata solo a qualche sorella e alla madre, che faceva da ammortizzatore e copertura verso il padre padrone, al quale non andava rivelata quella che sarebbe stata una grave macchia per tutta la famiglia. Se costui fosse stato messo a conoscenza della cosa, avrebbe inveito, usato violenza in famiglia, avrebbe potuto creare uno scatafascio scaricando la colpa sulla moglie, perché era stata lei, custode designata del focolare domestico e dell’onorabilità della casa, a generare quel figlio degenere. La realtà andava sottaciuta agli estranei, in ogni caso con sofferenza dell’interessato. Guai a far trapelare la verità all’esterno, insomma la “vergogna” andava tenuta celata a tutti i costi.
L’incesto nell’ambiente arcaico contadino. Altra cosa rispetto all’omosessualità è l’incesto, vale a dire il rapporto sessuale tra persone di sesso opposto ma legate da un vincolo di parentela. Esiste l’incesto tra persone il cui vincolo di parentela è in linea retta, come tra genitori e figli, quello tra parenti in linea collaterale, come tra fratelli e sorelle, e quello tra parenti per affinità in linea retta, come i suoceri. Freud argomentava che l’incesto sarebbe da collegare alla situazione ontogenetica del complesso di Edipo, identificabile nella rivalità tra figlio e padre per il possesso della madre. Altre teorie invece parlano di tabù in ambito sacrale: il grembo materno è il luogo d’origine, assimilabile all’Aldilà, alla porta e alla tomba, e questa sua natura lo rende intoccabile. Questo tabù non valeva per quelle figure, come i sovrani e i sacerdoti, che possedevano le “chiavi” per l’accesso alla sacralità, per cui per loro l’incesto era lecito. Infatti il faraone e il sovrano Inca erano obbligati a sposare la propria sorella, per conservare la purezza di sangue e la linea di discendenza. Va detto che il tabù dell’incesto è servito a evitare che, tra gli umani, si moltiplicassero le malattie genetiche dovute alla consanguineità. Tanto è vero che Roma imperiale, attraverso la conquista di nuovi territori, con la concessione della cittadinanza ai popoli acquisiti, e il conseguente mescolamento delle razze, fortificava geneticamente la propria gente. Se i patriarchi della Bibbia erano incestuosi, si ritiene che ciò fosse dovuto ad un’affermazione di dominio sui figli. Anche tra gli animali si riscontra l’incesto, e ciò è un fatto naturale, istintivo, perché la procreazione si basa sul linguaggio degli odori. Il maschio si accoppia con la femmina quando questa è nella fase dell’estro. Tuttavia alcune specie, soprattutto i predatori, quando i cuccioli sono cresciuti, espellono dal branco i giovani maschi sessualmente maturi, perché vadano a cercarsi un proprio territorio, evitando in questo modo l’incesto che indebolirebbe la specie. Il rapporto sessuale tra consanguinei, infatti, quando avviene ripetutamente all’interno di una comunità chiusa di animali della stessa specie, perché costretti a vivere isolati in uno spazio angusto, come può essere una piccola isola, porta all’indebolimento graduale della loro discendenza sia genetico che fisico, proprio a causa del fatto che con la sovrapposizione dei cromosomi non c’è il rinnovamento dei geni. Per gli umani la cosa è diversa. Esso rappresenta, come detto sopra, un tabù e poi c’è una morale per i comportamenti sessuali. Infine l’incesto è previsto anche come reato dalle leggi dello stato. A riguardo dell’incesto, nel mondo contadino, come in altre classi sociali, erano presenti sia il complesso di Edipo, cioè del figlio maschio verso la madre, che il complesso di Elettra, vale a dire della figlia verso la figura paterna. Normalmente questo tipo di rapporto tra figli e figure genitoriali non sfociava in rapporti carnali, ma si esauriva nel fatto che i figli in età da matrimonio cercavano un partner, che assomigliasse il più possibile al genitore di sesso opposto al proprio. Tuttavia non è che la realtà contadina fosse immune da abusi sessuali in famiglia, che per lo più rimanevano nascosti, anche se talvolta correvano voci che un padre vedovo se la facesse con la figlia nubile, poiché questa metteva al mondo dei neonati, senza che avesse un amante ufficiale. Questi neonati erano poi “venduti”, cioè ceduti illegalmente a coppie senza figli di altri paesi, in cambio di denaro, grazie all’intervento di qualche sensale. Anche qualche coppia di fatto, in stato di indigenza, fino alla fine degli anni Sessanta cedeva a terzi, con lo stesso sistema, i propri neonati al prezzo di un milione di lire l’uno. Si ha memoria di un uomo suicidatosi sparandosi un colpo, col suo fucile da caccia, per la vergogna e il rimorso, poiché scoperto dalla moglie nel suo rapporto incestuoso con la figlia bambina. Una giovane contadina, con figli e marito, viveva in casa del padre separato. Con loro era anche la nonna paterna, abbastanza avanti nell’età. Sembrava un clan solido e felice che viveva dei frutti della terra. Poi capitò che la giovane contadina e il marito si separassero, e costui espatriò. Dopo qualche tempo si cominciò a malignare che padre e figlia se la intendessero, e ciò era dovuto al fatto che capitava che essi fossero sorpresi dagli estranei a fissarsi negli occhi, come due colombi innamorati. Si raccontava pure che la nonna, una notte, insospettita dal comportamento dei due, o perché le fossero giunti all’orecchio i pettegolezzi della gente, avesse sorpreso figlio e nipote a letto insieme. Si diceva pure che nell’ira lei, afferrata la forcina – arnese di legno che s’adoperava per rivoltare la lana del materasso –, li avesse bastonati e gnuriàti a cculu di canu, coperti di ingiurie. Il mattino seguente, lei, che non poteva sopportare una vergogna simile, fece i bagagli e se ne andò a vivere per sempre con una figlia che risiedeva abbastanza lontano da quella “casa del peccato”. In questo modo i due incestuosi ebbero campo libero. Talvolta si vociferava di cognati e cognate che se la intendessero. Verosimilmente di un uomo si diceva che si tinéva contemporaneamente due cognate, mogli di due fratelli di sua moglie che lavoravano all’estero. In questo caso si trattava evidentemente di una sorta di triangolo alquanto anomalo, che alimentava le fantasie erotiche di chi raccontava la cosa, e probabilmente anche la sua invidia malcelata.
Nota Quanto qui è scritto nasce prima di tutto dal rispetto per l’essere umano. Il gay è un essere umano con la sua dignità, e merita rispetto per la sua diversità. Era ed è spesso una persona fragile, sola, indifesa. Basti ricordare Pier Paolo Pisolini (1922-1975), come finì trucidato all’idroscalo di Ostia, e la cui morte non è stata completamente chiarita. La sua memoria, la sua intelligenza creativa, la sua statura di intellettuale e uomo di cultura, da morto, non furono difese nemmeno dal PCI, perché lui era sì comunista, ma frocio e con una vita privata scomoda e ingombrante. L’omosessuale ha il diritto di vivere la sua sessualità secondo la propria inclinazione e natura. E se lo desidera può costituire una coppia di fatto. Uno stato veramente laico e democratico dovrebbe avere delle leggi che riconoscano ufficialmente queste situazioni, come già succede in altri paesi europei. Questa nuova realtà di fatto è già tra noi, manca solo la sua ufficialità. Sarebbero oltre 500.000 le coppie di fatto in Italia, non solo tra omosessuali, che potrebbero cogliere l’opportunità di regolarizzare la propria posizione. Nella comunità contadina si sentiva parlare di ricchjùni e lesbiche. Ma queste erano pressoché invisibili rispetto ai primi. Tra noi giovani si vociferava di qualche coetaneo gay in paese. Ma erano rarissimi gli incontri ravvicinati. Fu a Napoli, invece, dove alcuni di noi maschi ruspanti erano approdati per studiare all’università, che si subivano talvolta i tentativi di approccio da parte dei gay. Si trattava di uomini maturi, forse afflitti da un’estrema solitudine, che avevano una sorta di “vizietto” e, nella ressa su tram o autobus, non praticavano scippi, ma allungavano una mano per fare qualche palpata furtiva tra le nostre gambe. Questo tipo di comportamento ci mandava in bestia, perché si dava il caso che fosse qualcuno di noi, talvolta, il potenziale “manomortista”, ma con qualche ragazza consenziente. Per la parte riguardante la società arcaica sopra esposta, che si configura come memoria collettiva, gli informatori consultati sono oltre una mezza dozzina e ho potuto registrare negli anni Novanta molti canti pettegoli.
Zell, 20 febbraio 2006 Angelo Siciliano
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