Questo trittico di poesie alla Madonna
dell’Abbondanza, statua seicentesca di casa Pirrotti, Mamma Bella,
l’appellava San Pompilio Maria Pirrotti (Montecalvo 1710 – Campi Salentina
1766), nasce tra aprile e luglio del 2003.
Per un anno mi ero portato dentro lo stupore
e un senso ispirativo, per quelle tre statue lignee, ritrovate dai
restauratori il 16 marzo del 2001, murate in casa Pirrotti, le cui foto
avevo potuto vedere per la prima volta a Pasqua e poi di nuovo a giugno del
2002.
Dei tre testi, uno è in lingua e due sono in
dialetto irpino di metà Ottocento, che ho recuperato in questi anni con un
meticoloso lavoro di ricerca e riappropriazione. È il dialetto parlato dai
miei bisnonni, nati verso la metà dell’Ottocento, depurato delle parole
americane dialettizzate dagli emigranti di ritorno dagli USA, verso la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Questa consapevolezza ho potuto
acquisirla, grazie al contributo formidabile e fondamentale di mia madre,
Mariantonia Del Vecchio, contadina nata nel 1922, depositaria di quella
cultura e cantatrice di numerose melodie ottocentesche.
Per ragionamento induttivo mi assumo la
responsabilità di dire, dato che nei secoli passati le cose evolvevano e
mutavano molto lentamente, rispetto ai tempi nostri, che probabilmente il
dialetto irpino dell’Ottocento non doveva discostarsi di molto da quello del
secolo precedente, il Settecento, appunto il secolo di San Pompilio.

Accompagnavo e completavo la scrittura dei
versi con l’esecuzione di alcuni disegni della Madonna dell’Abbondanza e in
seguito anche di S. Lorenzo e S. Pompilio.
Poi recuperavo un dipinto ad olio con San
Pompilio, da me eseguito quand’ero ventenne. Due mie tempere della stessa
epoca, sempre con l’immagine del santo, dopo essere state esposte per alcuni
anni nella sua casa natale, mi è stato assicurato che sono conservate ora
presso il reliquiario.

Nelle parrocchie montecalvesi di San
Bartolomeo, San Nicola e nel convento di Sant’Antonio da Padova vi passai
parte della mia gioventù, assieme a diversi coetanei.
La cappella di San Pompilio, con gli annessi
asilo infantile e casa Pirrotti, competeva alla parrocchia di San
Bartolomeo.

Eravamo nomadi noi giovani. Nel senso che ci
si spostava con facilità, laddove si percepiva che vi fossero più fermenti e
vita, e si potesse meglio crescere culturalmente e spiritualmente.

Della Collegiata, la splendida chiesa di
Santa Maria a tre navate, ricordo l’impressionante spettacolarità teatrale
della celebrazione del Venerdì Santo, che si concludeva con una mesta
processione per il paese, con il Cristo morto, deposto dalla croce, e i
tristi canti religiosi.
Ricordo don Carlo Lombardi, austero parroco
di San Bartolomeo, poi miseramente massacrato da alcuni tossicodipendenti a
Benevento, dove si era trasferito nella sua nuova sede parrocchiale.

Don Adriano De Lillo, parroco di San Nicola,
ora ad Avellino, e padre Eugenio D’Agostino, dei frati minori, che, dismesso
il saio, è parroco a Montella, li rammento come coloro che meglio sapevano
comunicare e aprire il proprio cuore a noi giovani, illusi di poter cogliere
il mondo con una mano. Quante conversazioni, quanti dubbi e interrogativi!
Ma in noi si andava consolidando lentamente una convinzione: impegnandoci e
appassionandoci a fondo a ciò che più ci stava a cuore, qualcosa saremmo
riusciti a costruirla.
E infine un gradito ricordo corre a Rosario
Cavalletti (do’ Rrusàriju), figura squisita e cortese, e a Giuseppe
Lo Casale, appassionati registi teatrali che, negli ospitali spazi
parrocchiali, dirigevano, con certosina pazienza, noi presuntuosi attori in
erba nella recita di alcune commedie napoletane.
Montecalvo,
Pasqua 2004 Angelo
Siciliano