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Il 16
marzo del 2001 rappresenta una data storica
per la comunità di Montecalvo. Al suo
patrimonio affettivo ritornano delle sacre
icone che il tempo, con la complicità forse
inconsapevole degli uomini, aveva
avviluppato negli indefinibili veli
dell'oblio.
Il cammino dello spirito spesso si
accompagna, nella Storia, ai frutti che esso
stesso produce nella contemplazione del Fine
e dell'infinito percorso di un arcano che
morde le nostre percezioni.
Ed è nell'ammirazione del costruito che,
molte volte, riprendiamo il percorso
interrotto.
Ma se all'arte si aggiunge il mistero, e se
questo si esplicita nel richiamo sensibile
di una morte sicura accompagnata da una
inesprimibile sensazione di pace, e quindi
di vita, diviene essa stessa cammino.
Durante il quale ci si imbratta e si cade.
Da vari anni Angelo Siciliano registra, con
la penna e con il pennello, sensazioni
attuali scaturenti da precedenti momenti di
vita individuale e sociale.
E scava, esplorando rimasugli e meandri,
nella memoria personale e collettiva, del
vissuto suo e del popolo al quale
appartiene.
Questa volta, però, è stato il tempo a
donare, a lui e a noi, un pezzo intero della
nostra storia.
Pulito nell'interezza delle sue ferite: una
Mamma Bella, appartenuta ad un grande del
nostro passato, con la veste imbrattata di
fango.
Ma il fango che azzanghera la Vergine, è il
nostro fango.
Che la inonda, l'affonda, la sottrae allo
sguardo degli uomini.
Alla coscienza di un popolo che dimentica.e
muore.
Ed ella assorbe.
Anche la nostra morte.
Ha con sé le nostre strade, tortuose di
secoli stretti, pregne delle acque guadate,
dei calanchi freddi, o assolati, fruttate di
olio e odorose di mandorle amare.
Assaltata dai tarli che, oltre la morte,
rodono i nostri corpi, come prima le nostre
coscienze.
Inappagate perché stanche, distrutte,
sconsolate.
Non viene dal Paradiso perché è lì che
ancora sta andando, appesantita dalle nostre
valigie che il figlio, coi figli, sul suo
braccio sostiene.
Al dolore della Croce, per la morte del suo
primogenito, si aggiunge, così, lo spasimo
universale di un parto foriero di gioie
ancora nascoste.
E quando gli stenti di vite vissute, sudate,
sconfitte, ottenebrano speranze di luce e
coprono i richiami celesti, ricompare la
Mamma.
Che non nasconde la Morte, serena
mostrandola nello sguardo materno che ognuno
vorrebbe incrociare la sera.
Nel crogiuolo del caos, che gli animi
avviliti dei figli mortali affardella di
buio, si accende la luce vitale e d'incanto
svanisce la necessità del racconto
liberatorio: ella sa tutto perché è stata
sempre con noi, nascosta così bene che
nessuno, neanche per idea, riusciva ad
immaginarselo: tutto ha
udito, tutto ha sofferto, tutto ha compreso.
L'essenzialità del verso contiene la vastità
del pensiero che di fronte a
Mamma Bella dalla faccia macchiata
interrompe le sue trame per contemplarne
quell'affascinante, indefinibile sorriso:
ecco che svanisce l'affanno.
Ora tutto è più chiaro e in Pasqua
dell'Abbondanza gli occhi della Vergine
parlano: le macchie del suo viso, novello di
secolari ferite che dissipa deserti di
paure, possono ben rappresentare la
trasfigurazione a cui l'uomo pellegrino, già
viandante con lei tra filari di bosso e
rosmarino odoroso,
tende ed aspira.
E i versi, silenziosamente rievocano le
antiche processioni delle origini. I
tributati fasti di un avversato popolo alla
Mamma dal latte imperituro e al figlio per
cui quello stesso latte fu concepito in
eterno candore.
E poi, tre secoli di silenzio: di rughe
scavate profonde.
Oggi, come ai tempi antichi, fiduciosi si
sale alla Collegiata, là dove agli occhi
degli uomini la Storia pareva avesse scritto
fine.
Ma c'era una profezia da compiere: affidata
ad un figlio di Casa Pirrotti che quella
Sacra Immagine nel 1622 aveva voluto donare
al culto del popolo.
Pompilio, il santo che, si disse, vivente
parlò con i morti, e che, ancora bambino,
aveva profetizzato il ritorno di quella
statua, in quella
Collegiata era stato battezzato il 30
settembre del 1710.
E nel sole di Pasqua, primizia di
risurrezione, i doni della Mamma Bella dalla
faccia macchiata. Le gialle violacciocche,
fiorite tra le pietre del tempio,
accompagnano l'
ascesa. L'arcano è svelato. Il Bimbo
benedice e sorride.
Natale 2003
Giovanni Bosco Maria Cavalletti |
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MAMMA
BELLA CU LA FACCI LORCIA
S’ave
prisintàta, nu bèllu juórnu,
la Madonna: la facci lórcia,
tutta chjéna di macchji,
nu pócu carulàta.
Ma l’uócchji
suji so’ cquiddri
di na mamma ca ògnunu
vuléss truvàni quann’a la sera
s’arritìra stancu, strutt’e afflìttu.
Unu pènza: «
Ma da ‘ndó véne
‘sta Madonna? Da lu paravìsu no,
éja tutt’affardillàta, binidica!
Li bbìji
ch’ave camminàtu, li rripi,
li uaddrùni, li ghjiumàri ch’ave passàtu,
lu mantu mmalitrattàtu,
la vèst’azzangàta di lóta, lu Crijatùru
‘mpisantùtu ‘mbrazza...»
Ma a ghjì a
bbidé, Quéddra stéva
‘mmiézz’a nnuji, ammucciàta
accussì bbónna ca nisciùnu,
mancu pi mmacinazióne,
ci jév’a ppinzà!
Tutt’ave
sintùtu
tutt’ave patùtu
tutt’ave capìtu.
Nuji ‘nnì l’ìma
accuntà niénti!
Angelo Siciliano
Zell, 25 maggio 2003
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MAMMA
BELLA DALLA FACCIA MACCHIATA
Si è
presentata, un bel dì,
la Madonna: la faccia sporca,
tutta cosparsa di macchie,
un po’ tarlata.
Ma i suoi
occhi sono quelli
di una madre che ciascuno
vorrebbe incrociare la sera quando
si ritira stanco, distrutto e sconsolato.
Uno si
chiede: «Ma da dove arriva
questa Madonna? Dal paradiso no,
così carica, Dio la benedica!
Le vie che ha
percorso, i calanchi,
i valloni, le fiumare che ha guadato,
il mantello sdrucito,
la veste imbrattata di fango, il Bambinello
che le si è appesantito in braccio...»
Ma si viene a
scoprire che Lei era
in mezzo a noi, nascosta
così bene che nessuno,
neanche per idea,
riusciva ad immaginarselo!
Tutto ha
udito
tutto ha sofferto
tutto ha compreso.
Noi non dobbiamo
confidarle nulla!
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PASQUA
DELL’ABBONDANZA
Madonna,
con l’occhio che parla,
il tuo volto dolce di Madre
novello di secolari ferite
dissipa deserti di paure
lenisce celati dolori.
Il seno mostri ai fedeli
salvifico ristoro ai devoti.
Il Bimbo benedice e sorride.
Con vesti appesantite da pieghe
rughe scavate profonde
tre secoli di salvie rute ginestre
filari di bosso e rosmarino odoroso
hai attraversato in silenzio
per adempiere la profezia.
Si sale come ai tempi antichi
con animo speranzoso
alla Collegiata.
Oggi è Pasqua.
I tuoi doni nel sole
gialle violacciocche fiorite
tra pietra e pietra
sui muri del tempio.
Montecalvo, Pasqua, 20 aprile 2003
Angelo
Siciliano
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