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IL SECOLO DELL’IMPERO
In mostra a Palazzo delle Albere, principi, artisti e
borghesi
tra il 1815 e 1915

Ci si
preoccupava in tanti sulla nuova destinazione d’uso che avrebbe potuto
avere Palazzo delle Albere, perché il Mart, Museo d’Arte Moderna e
Contemporanea di Trento e Rovereto, con la sua attività culturale ed
espositiva, calamita le attenzioni su Rovereto.
Molte
voci si erano rincorse nei mesi passati. Poi l’annuncio di questa
mostra fugava sospetti su un suo possibile sganciamento dal Mart.
Tuttavia, su tale mostra aleggiava la sensazione di un’invasione di
campo, rispetto al Museo del Buonconsiglio, sede istituzionale per
l’arte antica per il Trentino. Questo museo, per conto suo, anche per
l’estate e l’autunno 2004 fa la sua bella figura e, con la splendida
mostra Guerrieri, Principi ed Eroi, attira di nuovo
migliaia di visitatori.
La
mattina del 24 giugno 2004, nel presentare la mostra alla stampa a
Palazzo Geremia, lo staff del Mart – Pietro Monti, Gabriella Belli,
Pierangelo Schiera, con l’architetto Michelangelo Lupo – presenti il
sindaco di Trento Alberto Pacher e l’assessora alla cultura Micaela
Bertoldi, dava rassicurazioni che nessuna invasione di campo altrui si
era consumata, in quanto Palazzo delle Albere accoglierà anche per il
futuro parte delle opere di questa mostra, andandosi a ritagliare uno
spazio come sede trentina del Museo dell’Ottocento con un’identità
artistica italo-tedesca del XIX secolo.
Veniva
spiegato che il titolo della mostra è riferito all’Impero, che voleva
dire pace ed era ben accetto qui in Trentino. Cecco Peppo era visto
come un buon padre di famiglia. Salvo poi che, alla prova dei fatti,
inevitabile fu lo scoppio della Grande guerra e l’impero si dissolse.
Si
affermava anche che il Mart è il Museo del territorio, il che non vuol
dire solo attività espositiva a Rovereto, ma anche a Trento, come la
mostra in questione attesta.
La
sensazione, tra i presenti, era che la convivenza territoriale durerà
finché dura. Presumibilmente fino a quando i flussi finanziari
provinciali lo consentiranno.
La
mostra, con opere provenienti da collezioni pubbliche e private,
abbraccia un periodo di cento anni, dal 1815 al 1915, dal
neoclassicismo del Canova all’estetica simbolista post naturalistica
del Moggioli. E in mezzo opere del romanticismo, del naturalismo, del
realismo e della secessione viennese. Tra i suoi obiettivi quello di
indagare e dimostrare come, nel clima dell’Impero Austroungarico, il
Veneto, Milano, Roma, Monaco e Vienna, con le loro tendenze
artistiche, influenzarono e determinarono il rinnovamento delle arti
in Trentino. In realtà una mostra suggestiva ma diseguale, attraverso
un percorso costituito da una miscellanea di immagini pittoriche e
plastiche. Tra esse il nucleo omogeneo più cospicuo quello delle
opere, tenute da sempre in magazzino, della gipsoteca dello scultore
trentino Andrea Malfatti (studiò a Brera anche sotto la guida di Hayez),
che ha il sapore di una sorta di risarcimento al lungo e ingiusto
oblio patito dall’artista.
Il
manifesto-immagine della mostra, Venere che scherza con due colombe,
è del veneziano Francesco Hayez, trasferitosi a Milano come docente a
Brera, sicuramente uno dei maggiori pittori dell’Ottocento italiano,
che ritrasse anche il Manzoni e la sua famiglia. Il soggetto femminile
riprende la ballerina francese Carlotta Chabert, amante del conte
trentino Girolamo Malfatti, che commissionò l’opera nel 1830.
Hayez
si ispirò al modello classico della Venere callipigia,
conservato presso il Museo Nazionale di Napoli, ma la figura statuaria
della Chabert, inserita nel paesaggio e ripresa nuda di schiena dal
fianco destro, avendo dovuto l’artista rispettare per contratto le
fattezze del modello reale, non è proprio una bellezza anatomicamente
proporzionata e piacevole a vedersi. E l’artista ne era cosciente,
tanto è vero che sessant’anni dopo la prima esposizione pubblica
dell’opera, ricordava ancora le critiche feroci sollevate dai
classicisti contro i romantici e, in particolare, una che qualificava
l’opera come “Venere la più schifosa donna del volgo”.
La
mostra si snoda proponendo al pubblico i sovrani austriaci,
l’imperatore Francesco I d’Austria e l’augusta consorte Maria Teresa
di Borbone, rappresentati da un busto del Canova del 1822, che ritrae
l’imperatore, e cinque ritratti dipinti da Giovanni Battista Lampi,
Giuseppe Tominz e Giuseppe Sogni. Di quest’ultimo è anche il
Ritratto dell’imperatrice Elisabetta (Sissi) del 1854-1857.
Poi
segue il gruppo di opere di gusto romantico, con artisti, nobili e
borghesi, eseguite da Giuseppe Craffonara, (ritratto dello scultore
Antonio Canova), Innocenzo Fraccaroli, Giustiniano degli Avancini,
Giovanni Pock, Domenico Udine, Enrico Romolo (Romulo), Ferdinando
Bassi e Alcide Davide Campestrini. Trattasi di opere interessanti sia
per l’ambientazione che per i volti e gli atteggiamenti delle persone
rappresentate che, al di là di certi canoni accademici, propongono una
galleria di figure della tipologia umana dell’Ottocento.
Interessante il gruppo di opere riferite ad Andrea Maffei e ai suoi
amici nobili de’ Lutti.
Maffei,
poeta e traduttore di Riva del Garda, fu mecenate e amico di artisti
trentini e di Milano, città in cui si era trasferito e dove, prima che
si separasse dalla moglie, aveva dato vita a uno dei più rinomati
salotti cittadini.
Le
opere sono di Carlo Bellosio, Giuseppe Bertini, Francesco Hayez,
Michele Cordigliani, Giuseppe Craffonara, Luigi Sacco, Friedrich von
Amerling e Vincenzo Vela. Esse ci danno la misura del rinnovamento
romantico dell’arte trentina.
Col
gruppo di opere di Antonio Canova (Amore e Psiche giacenti,
scultura eseguita dopo il 1796, attribuzione), Alois Zimmermann,
Vincenzo Camuccini, Domenico Udine, Michelangelo Grigoletti, Giacinto
Vigani, Giustiniano degli Avancini, Ludovico Lipparini, Eugenio Prati,
Franz von Defregger e Carl von Blass (con gli eroi tirolesi Andreas
Hofer e Peter Sigmair, catturati e giustiziati dai francesi di
Napoleone), si indagano il mito e la storia tra cronaca e leggenda.
Poi
c’è il verismo delle opere di Giacomo Favretto, Bartolomeo Bezzi ed
Eugenio Prati.
Della
gipsoteca di Andrea Malfatti, fanno parte sedici opere in gesso che il
Comune di Trento aveva acquisito nel 1912, con contratto di rendita
vitalizia a favore dell’artista.
Nelle
opere con figure inserite nel paesaggio di Francesco Danieli, Vittorio
Avanzi ed Eugenio Prati s’indaga l’evoluzione del verismo verso il
simbolismo.
Alcune
nature morte, compresi dei pannelli decorativi, di Giovanni Segantini
appartengono agli esordi dell’artista e in esse è leggibile l’influsso
del suo apprendistato.
La
Secessione, con enfatizzate immagini antiaccademiche, è esplorata
attraverso le opere di Franz von Stuch, Leo Putz, Leonardo Bistolfi,
Luigi Bonazza, e Luigi Ratini.
Con le
opere di Umberto Moggioli ritornano le suggestioni di certo colorismo
veneto e gli influssi simbolisti dello Jugenstil e della scuola di
Parigi.
Catalogo
• A cura di Gabriella Belli e
Alessandra Tiddia.
•Testi di G. Belli, P. Schiera, F.
Mazzocca, G. Bonasegale, G. Amman, Sergio Marinelli, A. M. Damigella,
A. Tiddia, N. Boschiero, M. de Pilati, E. Casotto.
• Ricco apparato biobibliografico,
schede e illustrazioni in bianco e nero e a colori.
• Stampato nel 2004 da Skira
editore, Ginevra-Milano.
Zell, 10
luglio 2004
Angelo Siciliano
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