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Il Dottor Pietro
Cristino primo Sindaco di Montecalvo Irpino nel secondo
dopoguerra |
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Il figlio,
partigiano,
Giuseppe Cristino , morto nella guerra civile di Spagna |
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Parlare di Giuseppe e
Pietro Cristino, oggi, nell’epoca del crollo delle ideologie, dopo
l’implosione dei regimi totalitari dell’Est europeo, ma anche di
guerre sanguinose – basti pensare a quella del Golfo Persico e
all’altra tra le nazioni dell’ex Iugoslavia – che sicuramente hanno
trovato una concausa nel crollo del Muro di Berlino del 1989, che ha
segnato la fine della guerra fredda e dei blocchi contrapposti,
guidati dalla fine della seconda guerra mondiale rispettivamente da
USA ed URSS, potrebbe anche significare andare ad indagare fatti,
persone e vicende del Novecento, la cui storia, oltre che non sempre
ripercorsa e chiarita adeguatamente e a sufficienza, ci appare
distante anni luce. E proprio tale distanza consente che tanti
personaggi di primo piano, che hanno fatto la storia civile e sociale
del nostro paese, possano essere spesso posti in discussione per le
scelte politiche fatte e per il loro operato nel secondo dopoguerra,
in quanto hanno contribuito, seppure indirettamente, a quel sistema
politico nazionale bloccato, rimasto senza alternativa. Si è parlato e
si parla anche di democrazia incompiuta. La realtà è che per più di
quaranta anni ci hanno governato più o meno le stesse persone,
realizzando – caso unico tra i paesi occidentali – una sorta di
“dittatura” in democrazia, che ha determinato conseguenze assai gravi:
invecchiamento e inefficienza delle Istituzioni pubbliche; alcuni
fenomeni gravi di collusione tra politica e criminalità organizzata;
intere regioni alla mercé di mafia, ‘ndrangheta o camorra che
insanguinano il Sud sostituendosi allo Stato come se questo avesse
rinunciato alle proprie funzioni; malcostume diffuso della pratica del
pizzo e della bustarella per cui, sempre più spesso, la cronaca nera è
ricca di casi di burocrati e amministratori locali divenuti essi
stessi, in prima persona, i gestori del malaffare. È il “diritto
negato” ad alimentare spesso faide tra i malavitosi e comportamenti
omertosi anche tra i cittadini. I partiti politici si sono trasformati
in qualcosa di diverso da ciò che erano originariamente: da strumenti
di democrazia sono diventati organizzazioni di potere. Tuttavia pare
che ora qualcosa cominci a cambiare e fasce non trascurabili della
popolazione non sono più disposte a concedere la propria delega in
bianco ai politici, portati sempre più ad anteporre gli interessi
particolari, di pochi privilegiati, all’interesse generale della
collettività.
I problemi sono tanti. Da
locali o nazionali che erano, sono divenuti di portata planetaria. Non
sarà di certo la logica delle lobby, delle multinazionali e della
propensione al consumismo a prospettare le soluzioni più eque o più
giuste per la nostra società.
Giuseppe Cristino, nato a
Montecalvo Irpino il 17 maggio 1918, con la Grande guerra ancora in
atto e il fascismo che avrebbe preso il potere di lì a quattro anni,
non sarebbe stato in grado di immaginare i mutamenti e le involuzioni
della nostra società. A dire il vero nemmeno noi siamo in grado di
prevedere, dove ci porteranno le “esternazioni e picconate” che da
qualche tempo caratterizzano il sistema di potere in Italia.
Dell’Irpinia, assai
arretrata e depressa d’inizio secolo, poco o nulla permane nella
memoria collettiva. Guido Dorso, nel 1915, ne faceva un quadro tutt’altro
che esaltante. Le lotte politiche provinciali, caratterizzate da
intimidazioni e sopraffazioni, trovavano fertile terreno nelle
condizioni di servilismo diffuso. L’Irpinia era già allora regno
dell’affarismo e del trasformismo, e l’arte della mediazione e della
demagogia serviva soprattutto all’interesse generale della borghesia.
A ben vedere, però, nel secondo dopoguerra il quadro generale
provinciale non è parso cambiato di molto rispetto al periodo tra le
due guerre.
Il potere locale era
gestito con strumenti conservatori e antiprogressisti. I nobili erano
ormai stati soppiantati dai professionisti – medici, avvocati,
ingegneri ecc. – e dai burocrati che andavano costituendo un nuovo
ceto d’arrampicatori sociali fortemente politicizzato.
Il censimento del 1921
rilevava l’arretratezza economica irpina: il 79,20% della popolazione
attiva era impegnata nell’agricoltura; solo il 14% lavorava
nell’industria e nei trasporti; appena dieci erano le imprese con più
di cinquanta addetti.
La polverizzazione delle
imprese caratterizzava tutti i settori economici provinciali. I
lavoratori prestavano la propria opera in condizioni di sfruttamento,
con strumenti antiquati, salari bassissimi e nella pressoché generale
inosservanza delle norme previdenziali e antinfortunistiche.
Il censimento del 1931
vedeva scendere l’occupazione nel settore agricolo al 71%, ma
permaneva l’estrema arretratezza delle tecniche produttive in
agricoltura. Oltre alla crescita degli addetti nei settori
dell’industria e del commercio, si registrava il raddoppiamento della
popolazione scolastica (24.301 alunni), rispetto al 1921, anche se non
poteva essere cancellato l’analfabetismo.
L’emigrazione di massa,
con destinazione transoceanica, s’interrompeva durante il ventennio
fascista, ma sarebbe ripresa in modo massiccio negli anni Cinquanta,
Sessanta e Settanta, privilegiando i paesi europei.
Questo, in breve sintesi,
lo scenario in cui Pietro Cristino (1882 – 1962), farmacista
montecalvese e padre di Giuseppe, prima socialriformista e poi
socialista dal 1924, dopo l’avvento del fascismo nel 1922, fece le sue
scelte politiche ed operò in opposizione al regime. Sottoposto a
restrizioni severe delle libertà personali, a seguito della
“ammonizione” della Questura, motivata dalla sua accertata attività
sovversiva, egli sopportò con dignità ogni vessazione, compreso un
breve arresto cautelare, in occasione delle nozze di S.A.R. il
Principe Ereditario, celebrate il 12 gennaio 1930. Intransigente
oppositore del regime, divenne soprattutto un punto di riferimento
morale per gli antifascisti montecalvesi e quelli dei comuni vicini,
perché col tempo ogni forma d’azione politica gli era impedita con
ispezioni e controlli rigorosi di polizia. Sarebbe stato il primo
sindaco democraticamente eletto nel 1946, in un comune, Montecalvo
Irpino, dove mai si era sopito lo spirito democratico e antifascista.
Gli ultimi anni della sua vita li avrebbe trascorsi seduto e
silenzioso su una sedia, a causa di una paralisi che l’aveva colpito.
Il figlio Giuseppe
assistette alle vicende paterne maturando una spontanea e autonoma
formazione politica, caratterizzata da una precoce opposizione alla
dittatura fascista, non rivelata ad alcuno.
A Napoli, dove per motivi
di studio s’era trasferito con la madre e i fratelli, nel 1938 decise
di espatriare per partecipare alla guerra civile spagnola. A Parigi,
dov’era giunto con pochi risparmi, grazie ad un finto viaggio
turistico, entrò in contatto con altri antifascisti e si arruolò nelle
Brigate Internazionali.
Entrato clandestinamente
in Spagna, combatté nella Brigata Garibaldi in difesa della Repubblica
spagnola. Fatto prigioniero dai franchisti, fu internato in un campo
di concentramento dove morì, presso Burgos, il 20 agosto 1941,
stroncato da un’epidemia di tifo. Comunque, se fosse sopravvissuto,
l’avrebbero consegnato allo Stato italiano, il che sarebbe equivalso
probabilmente alla sua condanna a morte, giacché nel 1939 erano
avvenute fucilazioni, per ordine dello stesso Mussolini, di
antifascisti italiani catturati in Spagna.
Ad onor di cronaca va
riferito che da Montecalvo era partito per la Spagna anche qualche
volontario, arruolato dal regime, per combattere a fianco delle
falangi franchiste. Relativamente ad uno di questi volontari, si
raccontava che sua moglie, con le rimesse ricevute dal marito
combattente in Spagna, si era comprato un appezzamento di terra
intestandolo al proprio nome (Lu marìtu ha gghhjut’a pparà li
ppaddròttil’a la Spagna e la mugliére, cu la pava ca iddru l’ave
mmannàtu, s’av’accattàtu la terr’a ppiéttu suju!).
Era di conforto per Pietro
Cristino, sopravvissuto al figlio per ventuno anni, il sapere che
Giuseppe si era sacrificato per il suo ideale di libertà.
Padre e figlio, dunque,
erano accomunati nei loro ideali di democrazia e la loro storia
andrebbe fatta conoscere ai giovani. Però, quasi fossero dei
personaggi scomodi o ingombranti, Montecalvo ha scelto il silenzio. Ma
un paese che si scorda dei figli migliori, a prescindere dal colore
politico d’appartenenza, è un paese senza storia, che non possiede
alcunché da insegnare ai giovani e tramandare ai posteri.
(Testo inedito, scritto a
Zell (TN), il 10 dic. 1991, per ricordare il cinquantenario della
morte di Giuseppe Cristino).
Angelo Siciliano |