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INTERVISTA AD ANTONIO SMORTO RAGAZZO DI 94
ANNI
Le sue vicende personali s’intrecciano con
la storia civile e politica di Montecalvo Irpino*
Antonio Smorto
vive da diversi anni in Veneto, a Castel D’Azzano
(VR).

Antonio Smorto
Lo ricordavo
molto vagamente. Era piena guerra fredda tra USA e URSS, e una
sera a Montecalvo Irpino (AV), paese dell’Alta Irpinia, doveva
essere il 1956, in occasione dei fatti d’Ungheria, nella casa di
‘Nduniùcciu Shcatulìnu giù ai Fossi, di cui esiste solo un
rudere dopo il terremoto del ’62, egli proiettò delle diapositive
sulla seconda guerra mondiale. Eravamo presenti in tanti a quell’evento,
molti adulti e anche noi bambini. Mi rimasero impresse le immagini
agghiaccianti dei lager nazisti e delle fosse, da cui erano
estratti i cadaveri dei deportati denutriti, soprattutto ebrei,
che evidentemente erano stati seppelliti in fretta, solo perché
non si era riusciti a farli sparire nei forni crematori, prima
dell’arrivo degli alleati.
Antonio Smorto lo
rividi e conobbi personalmente nell’estate ‘92 a casa sua. Andai a
fargli visita un anno dopo la commemorazione di Giuseppe Cristino,
morto nel ’41 in Spagna, prigioniero di Franco, dopo aver
combattuto, nella guerra civile del 1936-1939, come arruolato
nelle Brigate Internazionali. Per richiesta della famiglia
Cristino, nel ’91, anno in cui ricorreva il cinquantesimo dalla
morte, avevo dettato due epigrafi. Una di esse è riportata sulla
sua lastra tombale a Montecalvo, nella cappella funeraria di
famiglia. Purtroppo, la sua tomba contiene solo qualche effetto
personale. Per quanto la sua famiglia fece, non si riuscì a
recuperare i suoi resti che risultavano andati dispersi, perché
egli era stato sepolto in una fossa comune, spianata poi negli
anni Sessanta per farvi su un giardino. L’altra la donai ai
familiari e, successivamente, la pubblicai nel ’93 nella mia
raccolta di calligrammi ed epigrammi Dediche.
Quando a qualche
montecalvese, che si ricorda ancora del personaggio Antonio Smorto
per averlo conosciuto o per averne sentito parlare, ho confidato
che intrattengo con lui una cordiale frequentazione, seppure
sporadica, perché viviamo a cento chilometri di distanza, hanno
pensato che scherzassi o che stessi evocando un fantasma, che non
è stato spazzato via neanche dal crollo del Muro di Berlino,
avvenuto nel 1989. Evidentemente non ci s’immagina neppure che
Antonio Smorto è un personaggio arguto e vivace, che ha solo 94
anni, con cui si può parlare di tutto e scherzare proprio come si
fa con un ragazzino. Egli ha attraversato il ‘900 e nella sua
memoria sono incisi gli accadimenti, vissuti direttamente o
indirettamente, di un secolo pieno di tragedie.
Mi
onora del suo affetto, prima ancora che della sua amicizia. Mi ha
accordato quest’intervista sui suoi trascorsi di uomo impegnato
per tutta la vita nella politica, che ha significato per lui anche
lotta e proselitismo nei momenti cruciali della storia italiana.
Non ha ancora staccato la spina ed è impegnato idealmente nel
volontariato sindacale. Ha pagato molto personalmente, prima con
l’internamento in un lager in Francia e successivamente, rientrato
in Italia, col confino a Montecalvo Irpino. Qui incontrò la sua
futura moglie, Vincenzina La Vigna, che gli diede un figlio, Ivan,
che vive anche lui a Castel D’Azzano.
A
Montecalvo, dov’era confinato anche il siciliano Concetto Lo
presti, Smorto creò la locale sezione del P.C.I..
Formò i quadri
del partito che, assieme al P.S.I. del farmacista Pietro Cristino,
padre di Giuseppe, di cui ho riferito prima, con la lista
frontista della Spiga avrebbe guidato l’amministrazione comunale
fino a poco tempo dopo il terremoto del 1962. Per questo
Montecalvo era noto come la roccaforte rossa dell’Irpinia, che
l’opposizione democristiana, per quanto facesse, non riusciva ad
espugnare.
D.
Antonio, tu non sei montecalvese. Parlaci della tua terra
d’origine, delle condizioni di vita della tua infanzia e, se la
cosa non ti crea disagio, dei tuoi genitori e fratelli.
R. No,
non sono montecalvese. Nacqui in Calabria 94 anni fa, precisamente
a Bagaladi (RC).
Eravamo dieci
figli e all’inizio del ‘900 le condizioni di vita non erano
ovviamente delle migliori, fummo tutti costretti ad andare a
lavorare in tenera età e ad emigrare prima al Nord e poi in
Francia. Io, i miei genitori e i miei fratelli abbiamo vissuto una
gran parte della nostra vita a Tolone. Attualmente sono l’unico
vivente di questa numerosa famiglia.
D.
All’epoca della scissione del Partito Socialista, avvenuta a
Livorno nel 1921, tu eri un ragazzino. Nel ’22 il fascismo prese
il potere. Narraci di come avvenne il tuo incontro con la politica
e coi comunisti. Se non erro, in Francia eri con Luigi Longo, che
sarebbe poi diventato segretario nazionale del P.C.I. negli anni
Settanta. Dicci di quei momenti di lotta, dei rapporti con gli
altri fuoriusciti, delle durezze di vita, dei contatti che avevate
con l’Italia e di come e perché fosti internato in un lager.
R. Aderii
al Partito Comunista Francese nel 1933 ed alcuni anni dopo, con lo
scoppio della seconda guerra mondiale, su ordine della polizia
fascista italiana, la famigerata OVRA, fui arrestato insieme a
tanti altri antifascisti, che erano fuoriusciti, ed internato nel
campo di concentramento di Ÿernet d’Ariege, a ridosso dei Pirenei.
Era l’anno 1941. Non posso dire di non essere stato in buona
compagnia: Luigi Longo, Leo Valiani, con la cui consorte ho ancora
un buon contatto epistolare e telefonico, Giuliano Pajetta,
fratello del più noto Giancarlo, e Carlo Montagnana sono solo
alcune delle figure prestigiose che mi hanno guidato nella
formazione politica e di vita.
D.
Scampato al lager, facesti ritorno in Italia. Raccontaci con chi
rientrasti e qual era lo scopo di questo rientro.
R. Nel
campo di Ÿernet, dal quale molti non sono usciti vivi, non tutti
gli internati rischiavano il Tribunale Speciale, che equivaleva
praticamente alla condanna a morte. Io, per mia fortuna, ero uno
di quelli che non lo rischiava ed ebbi l’ordine dal Partito di
rientrare in Italia e lavorare per organizzare le masse in vista
del crollo del regime fascista e del conseguente ritorno alla
democrazia. Dopo la mia richiesta di rientro in Italia, fui
“ospite” del carcere di Mentone in Francia, poi di quello di
Reggio Calabria. Successivamente fui inviato presso la Questura di
Avellino e da lì destinato al confino politico di Montecalvo
Irpino. Correva l’anno 1943.
D. Al
confino di Montecalvo Irpino arrivò anche un altro illustre
confinato, Concetto Lo Presti che, dopo la Liberazione, sarebbe
diventato assessore regionale in Sicilia. Parlaci del tuo impatto
con la realtà montecalvese e se la tua esperienza fu, in qualche
modo, simile a quella di altri famosi confinati quali Cesare
Pavese e Carlo Levi. Dicci del fascismo a Montecalvo, di quale
tipo di controllo subivate, quale margine d’azione avevate, per
fare opposizione politica, e com’era l’atteggiamento della
comunità paesana nei vostri confronti.
R. La mia
esperienza di confinato politico è stata, io credo, simile a tutte
le altre, comprese quelle che tu hai citato, certo è che non è
stato facile inserirsi, anche perché il fascismo montecalvese non
era molto diverso da quello del resto d’Italia. Ogni giorno
eravamo obbligati ad andare al Comune per firmare un registro di
presenza. Le autorità fasciste in realtà non ci controllavano
molto, era sufficiente restare nel perimetro comunale e fu quindi
possibile operare tra i cittadini creando quei legami che
successivamente diedero ottimi risultati già nelle elezioni del
1947, elezioni comunali che videro la vittoria schiacciante della
sinistra nei confronti della D.C. e l’elezione del Sindaco
socialista Pietro Cristino.
D. A
Montecalvo incontrasti l’amore, fondasti la locale sezione del
P.C.I. e, sotto la sede dell’attuale Municipio, istituisti e
collocasti La Camera del Lavoro, che tutelava i braccianti e gli
altri lavoratori. Parlaci di coloro che aderirono alla tua
iniziativa e, se vuoi, ricordaci i nomi di coloro che più di altri
si attivarono per farla crescere. Sicuramente avrai subito qualche
voltafaccia. Illustraci i rapporti col P.S.I. di Pietro Cristino,
primo sindaco democratico montecalvese, e il clima di lotta
politica, talvolta anche aspro, che s’instaurò con la D.C. locale.
R. E’
vero, incontrai Vincenzina La Vigna, dirigente dell’Azione
Cattolica femminile, che in seguito sposai. Anch’ella come i
compagni Antonio Giasullo, Giovanni Cardillo, Pompilio Santosuosso
e tanti altri che, per ovvi motivi, sarebbe impossibile citare,
diventarono comunisti e insieme creammo la sezione del partito e
le organizzazioni di massa. Ottimi e fraterni furono i rapporti
con Pietro Cristino e sua moglie, mentre con la D.C. i rapporti
furono di lotta politica decisa e a volte anche aspra, come era
normale che fosse.
D. Finita
la tua esperienza montecalvese, dove lasciasti un consolidato
movimento politico di sinistra, ti trasferisti ad Avellino: altre
esperienze, altra responsabilità. Da qui, dopo qualche anno, anche
tu sei emigrato al Nord.
R. Sì,
proprio per il mio lavoro politico e di massa svolto in Montecalvo
Irpino, la segreteria Provinciale del P.C.I. mi cooptò nella
segreteria stessa e nel Comitato Federale Provinciale. Dal 1945 al
1949 svolsi l’incarico di Segretario provinciale della Camera del
Lavoro. Dalla fine del 1949 all’aprile del 1952, lavorai nella
realtà socialista della Cecoslovacchia, dove il partito comunista
era al potere, precisamente a Klasterec, dove nel 1950 nacque mio
figlio Ivan.
Ritornai per
qualche anno a Montecalvo e poi nel 1957 mi ritrasferii ad
Avellino dove ho continuato la mia attività politica e sindacale,
fin quando nel 1979 mi sono trasferito in Veneto per occuparmi,
fino al 1993, del sindacato pensionati.
D. I
fatti d’Ungheria del ’56 e la Primavera di Praga del ’68 di
Alexander Dubček, che aspirava a riforme politiche e sociali di
segno autonomistico rispetto all’URSS, produssero anche in te quel
tipo di lacerazioni che indussero molti a lasciare il partito o tu
li vivesti in modo differente?
R. La mia
posizione rispetto a quei fatti non era dissimile da quella
ufficiale del P.C.I. di allora. Anche se i momenti storici in cui
i fatti si svolsero e le analisi differenti fatte successivamente
hanno comportato valutazioni diverse, la mie non erano valutazioni
distanti da quelle del partito.
D. Come
mai, secondo te, ad un certo punto della nostra storia nazionale,
non ha più funzionato la memoria e, nonostante la presenza di
grandi vecchi come Lombardi, Pertini e De Martino, il nostro paese
è stato travolto dalla corruzione dilagante, sfociata in
tangentopoli? E cosa ne pensi della voglia della destra attuale di
voler riscrivere alcuni capitoli della nostra storia del ‘900,
principalmente quello riguardante la Lotta di Liberazione?
R. Secondo me la corruzione c’era anche prima. I
socialisti craxiani hanno tentato di sostituirsi ai vecchi
corruttori ed in parte vi sono riusciti. Con “mani pulite” sono
stati smascherati e di fatto è finita la prima repubblica. Per
quanto riguarda la voglia della destra di riscrivere i libri di
storia, a me pare che quello è il loro mestiere. Ma la storia
vera, quella non potranno mai cancellarla.
D. In
base al tuo vissuto e dall’alto della tua saggezza, dovuta anche
alla veneranda età, che forse suona come offesa ai
politici-demografi preoccupati per il welfare, cosa ti senti di
poter dire ai giovani di oggi che, tutto sommato, puoi considerare
come dei pronipoti?
R. Ai
giovani dico: «Non dimenticatevi mai di far funzionare il vostro
cervello!»
Ringrazio te,
caro Angelo, per l’attenzione che hai voluto dedicarmi e
permettimi un affettuosissimo saluto a tutti i compagni di
Montecalvo che, per le battaglie condotte insieme, per la
genuinità e sincerità, che li hanno sempre contraddistinti, non
potrò mai dimenticare.
Un saluto
affettuoso va pure al presidente della regione Campania, Antonio
Bassolino, al quale mi ha legato una profonda amicizia ed io e mia
moglie partecipammo al suo matrimonio.
Castel d’Azzano, 6 giugno
2003 Antonio Smorto
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