I FUOCHI E I PICCOLI
AEROSTATI DI SAN GIUSEPPE NELLA TRADIZIONE
MONTECALVESE
A
Montecalvo Irpino il 19 marzo si festeggia S. Giuseppe e nel pomeriggio
il paese si anima, perché è attraversato dalla processione con la statua
del santo, appartenente alla chiesa di S. Bartolomeo, seguita dai fedeli
e da diversi automezzi.
In
passato, questa festa riguardava soprattutto gli artigiani. Anche i
contadini e i massari, tuttavia, partecipavano con mucche e carri.
Con
l’introduzione di camion e trattori nelle attività lavorative, si
cominciò a sfilare anche con questi mezzi dietro la processione e i gas
di scarico ammorbavano l’aria rendendola irrespirabile.
Era una
specie di sfida per mostrare agli occhi della gente le mucche più belle,
con le corna infiocchettate di nastri colorati, e anni dopo il trattore
lucidato, più grosso e potente di quelli della concorrenza.
All’imbrunire, era tradizione accendere dei fuochi negli slarghi del
paese e davanti alle case di chi viveva in campagna.
Questa
tradizione è comune ad altri paesi dell’Irpinia.
Qualche
giorno prima della festa, le famiglie, o la gente dei rioni che era
animata dallo spirito di clan, si davano da fare per raccogliere
materiale da ardere per l’occasione. Accatastavano paglia, ramaglie,
fascine e, giunto il momento dell’accensione, adulti e bambini si
radunavano eccitati e vocianti attorno al cumulo di materiale che si era
riusciti a costruire.
A un
certo punto colui che fungeva da capo clan, diventava piromane dando
fuoco alla catasta.
Se non
era piovuto, la paglia era asciutta e in pochi secondi la combustione
faceva levare alte fiamme e infinite scintille nell’aria. Si
bighellonava tutti allegramente attorno a
lu fucóne.
Il fuoco
brillava sui volti e negli occhi delle persone e queste, oltre a godersi
il proprio rogo, scrutavano in giro per vedere quanto duravano i fuochi
accesi dagli altri, non senza una punta d’invidia per quelli più
luminosi e con una maggiore durata nel tempo, rispetto al proprio.
Sempre la
sera di S. Giuseppe, dall’abitato di Montecalvo, sino a circa una
sessantina di anni fa, si facevano ascendere in cielo dei palloni di
carta lucida colorata. Erano aperti nella parte inferiore a mo’ di
piccole mongolfiere. Proprio in corrispondenza di quest’apertura, era
agganciata una candela di cera che, una volta accesa, oltre a far
risplendere i colori della carta, produceva aria calda, che consentiva
al piccolo aerostato di innalzarsi a diverse centinaia di metri
d’altezza, per andare poi ad atterrare nelle campagne a qualche
chilometro di distanza.
Era uno
spettacolo impareggiabile e si ammirava nel cielo buio e stellato questa
sorta di corpi astrali gravitare liberamente – l’attuale inquinamento
luminoso era tutto da venire – e la gente teneva il naso all’insù, fino
a che essi non fossero definitivamente scomparsi alla vista.
Una volta
che i fuochi si erano spenti e i globi luminosi erano svaniti nel buio,
tutti ritornavano mestamente alle proprie case commentando ciò a cui si
era assistito.
Si
accendevano i fuochi anche pochi giorni dopo, la sera del 25 marzo,
giorno dell’Annunciazione di Nostro Signore, in onore della Madonna
dell’Annunziata, ma erano meno numerosi e sontuosi di quelli dedicati a
S. Giuseppe.
Tra i
contadini circolava un detto, Lu
juórnu di la Nunzijàta, mancu la vòcchila rrivòta l’óva (Il giorno
dell’Annunziata, nemmeno la chioccia gira le uova). Per questo essi, in
occasione di questa festività, sospendevano qualsiasi lavoro agricolo.
Queste
usanze relative all’Annunciazione, forse perché la chiesa della Madonna
dell’Annunziata di Montecalvo fu abbattuta a seguito del terremoto del
1930, sono del tutto sparite e lo stesso è successo per gli aerostati di
S. Giuseppe.
Oggi ci
si potrebbe porre non una, ma più domande, a proposito di queste
tradizioni. Perché i fuochi? Sono forse ciò che resta di un antico
rituale, con cui si festeggiava la fine dell’inverno, freddo e uggioso,
e l’arrivo della primavera ridente e luminosa? O non poteva trattarsi
anche di un rito ancestrale di purificazione, con origini remote nel
tempo, legato al mito del fuoco, che secondo la filosofia antica è uno
dei quattro elementi dell’universo?
Gli altri
tre elementi sono acqua, aria e terra originati tutti dal fuoco.
E i
palloni di carta colorati e illuminati, che fanno pensare a paesi
lontani come il Giappone e la Cina, rappresentavano forse una sorta di
messaggi bene auguranti, nel senso che auspicavano una stagione propizia
e un soddisfacente raccolto per i contadini?
Di certo
le risposte non possono essere univoche e forse altre ipotesi, anch’esse
plausibili, si potrebbero avanzare in proposito.
Anche ad
altre latitudini c’è l’usanza dei fuochi. In Trentino, ad esempio, a
Borgo Valsugana (TN), è molto sentita la tradizione del
Trato marzo (Entrato marzo),
antichissimo rito di passaggio, non legato ad alcuna ricorrenza
religiosa, con cui, a ogni inizio di marzo, si festeggia l’approssimarsi
della primavera.
I
ragazzini scorrazzano per le vie del paese trascinandosi dietro degli
assordanti barattoli vuoti, legati con cordicelle. Poi si procede
all’accensione dei fuochi.
Ecco,
anche qui, a più di 800 chilometri di distanza dall’Irpinia, si
accendono dei fuochi. È un caso, una coincidenza, o non è forse un punto
di contatto tra le culture di genti così lontane geograficamente, oltre
che per i rispettivi usi e costumi?
Zell, 16
marzo 2005
Angelo Siciliano
www.angelosiciliano.com
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